L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

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Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

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Saturday, December 20, 2008

«Trattamento Gaza» per il Pakistan (di Maurizio Blondet - semifinalista per il Perlone 2008)

http://straker-61.blogspot.com/2008/12/trattamento-gaza-per-il-pakistan-di.html

Data la straordinaria importanza dell’articolo e per contrastare, nei limiti dei nostri mezzi, i media italioti stupidi e/o prezzolati, abbiamo in via eccezionale deciso di proporre free questo pezzo, il giorno dopo la sua pubblicazione.

Lo ha riferito persino il Corriere: il 28 novembre, mentre l’attacco terroristico a Mumbai era in pieno corso, il presidente pakistano Zardari ha ricevuto una telefonata di aperta minaccia dal ministro degli Esteri indiani Pranab Mukherjee: o meglio, da qualcuno che fingeva di essere il ministro indiano. L’imitatore, in tono estremamente aggressivo, minacciava immediate azioni militari se il governo di Zardari non stroncava subito le formazioni terroriste nel Paese (1).

Per questo motivo il Pakistan – in quelle ore di tensione e di incertezza – ha posto le forze armate allo stato di allarme massimo; ha inviato a Washington l’avvertimento che diceva: se il Pakistan si sente minacciato, ritirerà i 120 mila uomini che ha impegnato sul confine afghano per la «lotta al terrorismo» e li schiererà sulla frontiera con l’India. Soprattutto, è stato a motivo di quella telefonata che il Pakistan ha cancellato la sua offerta di mandare il capo dell’ISI in India per collaborare alle indagini, mossa di conciliazione.

La telefonata ha dunque ottenuto almeno uno scopo: far apparire il Pakistan arrogante e complice, palesemente dalla parte del torto. Ma l’imitatore tendeva chiaramente a un esito molto più grave: far scoccare la scintilla fra due Paesi nucleari.

In seguito, si è detto che lo stesso imitatore avrebbe cercato di contattare anche Condoleezza Rice, ma che «gli specifici schemi di verifica adottati dagli USA hanno impedito che la telefonata passasse», raggiungendo la Rice. Poi la Rice, allertata dai pakistani, avrebbe chiamato Mukherjee in piena notte per chiedergli ragione di quella telefonata così aggressiva; e il ministro indiano sarebbe caduto dalle nuvole.

Il fatto è che anche il governo pakistano dispone di «modi di verifica»: e il «CLI (caller’s line identification, identificazione della linea del chiamante) mostrava che la chiamata veniva da un numero di telefono verificato, del ministero indiano degli Esteri», ha fatto sapere la presidenza Zardari. Insomma, la falsa telefonata aveva tuttta l’aria di essere autentica.

Dunque non si trattava di un buontempone irresponsabile e solitario; questa è l’opera di un apparato che dispone di mezzi tecnici di inserimento nelle telecom «protette» e riservate dei governi. In qualche modo, lo stesso grado di sofisticazione e coordinazione mostrata dai «terroristi islamici» a Mumbai.

Questo fatto dovrebbe indurre i più alti livelli del governo USA alla cautela: c’è qualcuno che si inserisce per aggravare una situazione già gravissima, dunque attenzione a non farsi manovrare da questo «qualcuno».

Invece, Condoleezza Rice vola ad Islamabad a minacciare il ministro degli Esteri e il capo di Stato Maggiore del Pakistan: ci sono «prove irrefutabili» che nell’attacco a Mumbai sono coinvolti elementi del vostro Paese; e se non agite voi per stroncare la rete dei colpevoli, «lo faranno gli USA» (2).

E, in fondo, la stessa minaccia fatta dall’imitatore al telefono pochi giorni prima.

E non basta: il candidato repubblicano fallito John McCain, accompagnato dal suo manovratore ebraico e senatore Joen Lieberman, si precipita anche lui a Islamabad ad intimare al capo del governo pakistano, Yusuf Raza Gilani, quanto segue: l’India considera l’attentato di Mumbai «il suo 11 settembre»; e proprio come gli USA dopo l’11 settembre, «ha il diritto di assumere qualunque misura riterrà necessaria per prevenire ulteriori aggressioni»; dunque il Pakistan non deve continuare a rifiutare l’estradizione dei «terroristi» islamici che l’India esige gli siano consegnati; ha solo «pochi giorni», poi l’India agirà (3).

Un intervento teso a far precipitare la crisi verso l’esito bellico, non certo a raffreddarla. Lo stesso intento mostrato dal misterioso imitatore del ministro indiano al telefono.

Difatti, i giornali indiani (e non solo) sono pieni di informazioni lasciate filtrare, che vanno in questo senso: le forze armate indiane si stanno preparando a colpire i campi di addestramento dei «terroristi islamici» in Pakistan. Lo faranno con operazioni coperte, usando commandos delle tre armi, guidati dalle «agenzie d’intelligence», compiendo incursioni nel territorio pakistano in precise aree del Punjab, fra cui la zona di Multan; anche la linea costiera tra Karachi e Gwadar è sotto l’attiva sorveglianza delle forze militari indiane (a Gwadar, guarda caso, i cinesi stanno ampliando a proprie spese un importante porto petrolifero, che co-gestiranno coi pakistani e darà loro una base nell’oceano indiano).

Il lettore comincia a capire? Ancora un dato per aiutarlo a completare il quadro. Poche righe dal sito israeliano Debka File:

«Nuova Delhi ha chiesto a Gerusalemme di assisterla nella pianificazione operativa e d’intelligence delle incursioni oltre-confine contro i santuari islamisti in Pakistan, fra cui Al Qaeda (sic). Israele ha la volontà di aiutare gli indiani a compiere le incursioni punitive in Pakistan perchè ha i propri conti da regolare dopo il brutale assassinio di sei israeliani nel centro Chabad (Lubavitcher) di Mumbai, opera di terroristi islamici, e perchè l’agenzia di intelligence del Pakistan, l’ISI, ha una mano in questa atrocità» (4).

A questo punto, si comprende che non è solo «assistenza tattica» ad essere israeliana; è la stessa visione strategica che Israele applica da sempre contro i palestinesi, che ora viene replicata in grande manovrando le pedine indiane e gli infiltrati pakistani.

E’ il «trattamento Gaza» su scala regionale asiatica.

A Gaza, qualcuno tira innocui razzi Kassam; Israele strilla che il povero governo palestinese non ha la capacità di tenere a freno i terroristi interni; anzi, essendo Hamas una formazione «terrorista», ha certo «una mano nell’atrocità». Dunque Israele ha «il diritto di prendere tutte le misure necessarie» per prevenire ulteriori aggressioni: omicidi mirati con ampi danni collaterali, mitragliamenti e lancio di missili, distruzione di case, indurimento delle sanzioni. E naturalmente, «non si tratta coi terroristi».

Washington approva; del resto Hamas è nella sua lista di «organizzazioni terroriste» da sempre.

E’ la stessa tattica. Israele l’ha invariabilmente usata da decenni, prima contro l’Autorità palestinese («Dovete prima garantirci che terrete a freno i vostri terroristi; arrestate i vostri militanti, solo «dopo» vi concederemo qualcosa; non si può trattare con gente come voi», eccetera); l’hanno fatto anche contro il Libano, perchè non sa tenere a freno Hezbollah.

Oggi la stessa ricetta viene insegnata all’India, perchè la pratichi sul Pakistan.

Infatti, esulta il Times of India: «Gli Stati uniti stanno riconsiderando una vecchia idea a lungo accantonata: dichiarare il Pakistan uno Stato-sponsor del terrorismo (proprio come Hamas, Siria, Iran e Iraq di Saddam, ndr.)... Gli ambienti dell’intelligence USA stanno riconsiderando il contributo del Pakistan nella guerra al terrorismo... La Casa Bianca stessa ha perso fiducia nella buona fede dell’esercito pakistano molti mesi fa; ciò ha portato Washington a ritirare il suo sostegno al dittatore militare Pervez Musharraf e a mettere al potere (in Pakistan) un governo civile (...). La decisione di scaricare Musharraf è stata presa del vice-presidente Dick Cheney, perchè aveva le prove che il Pakistan stava continuando a sostenere gli elementi talebani che attaccano le forze NATO (in Afghanistan)... Siccome la presente amministrazione è ormai in carica solo per le sue ultime settimane, la decisione al riguardo (cioè se dichiarare il Pakistan uno «Stato terrorista», Stato-canaglia, «failed state», eccetera) è lasciata al governo Obama». («Pakistan on track to being named terrorist state», Times of India, 7 dicembre 2008).

C’è dunque qualcuno che sta febbrilmente approfittando del vuoto di potere a Washington, creando «fatti compiuti» per Obama. Qualcuno che può fare telefonate minacciose e far sembrare che arrivino dal ministero degli Esteri indiano; qualcuno molto esperto in attentati «false flag», e provocazioni di agenti provocatori; e che ha interesse a creare uno terrificante «arco di crisi» nell’Asia centrale; o meglio, ad estendere a questa vasta area l’arco di crisi già creato da Israele in Medio Oriente, dalla Cisgiordania all’Iraq. Qualcuno che non esita a invelenire la crisi fino al rischio di una guerra nucleare fra India e Pakistan. Qualcuno che vive nell’ansia per il fatto che il Pakistan è il solo Stato islamico che disponga di testate atomiche; qualcuno che ha mostrato quest’ansia frenetica da anni, contro la lontana eventualità che il programma nucleare dell’Iran possa avere fini militari, e da anni ne invoca la distruzione con incursioni belliche.

Magari, per questo qualcuno, uno scambio di bombe atomiche con la morte di milioni di indiani e pakistani presenta un vantaggio sicuro: l’orrore del mondo di fronte alle stragi nucleari indo-pakistane può ben giustificare «qualunque misura» per disarmare con qualunque mezzo l’Iran, anche con l’annichilazione atomica. E nel frattempo, legittimare il sequestro «con ogni mezzo» delle testate in mano al Pakistam che ne deve essere privato perchè «aiuta il terorismo».

Eppure, gli indizi della natura «false flag» dell’attacco di Mumbai si moltiplicano. Al punto che persino l’agenzia italiana APCOM non può tacerne qualcuno:

«E' un agente della polizia anti-terrorismo uno dei due indiani arrestati oggi nell'ambito delle indagini sugli attentati di Mumbai del 26 novembre scorso. Lo ha riferito un alto responsabile della polizia del Kashmir indiano, precisando che l'uomo, identificato come Mukhtar Ahmed, al momento dell'arresto era in missione. Il responsabile ha spiegato che Ahmed lavora per una rete semi-ufficiale di agenti anti-terrorismo che arruola fra le sue file prevalentemente ex militanti. La stessa fonte ha infine aggiunto che la polizia di Calcutta, che detiene Ahmed, è stata avvertita che si tratta di "un nostro uomo e che dipende adesso da loro facilitare il suo rilascio". La polizia indiana aveva annunciato l'arresto di due uomini accusati di aver acquistato le schede telefoniche usate dai dieci terroristi responsabili degli attacchi che si sono protratti per tre giorni e sono costati la vita a 171 persone. Dei dieci terroristi, nove sono stati uccisi mentre un altro è stato arrestato. Uno dei due sospetti fermati nella notte tra venerdì e sabato è originario del Kashmir indiano, probabilmente Ahmed, mentre il secondo proviene dallo Stato del Bengala Occidentale».

Dunque gli esecutori della strage negli alberghi e nella stazione di Mumbai, «terroristi islamici» (tutti uccisi e dunque silenziati tranne uno, quello con il bracciale indù, che ha confessato di essere un membro del Laskhar-e-Taiba, incastrando cioè il Pakistan) hanno ricevuto le schede dei loro telefonini, con cui si tenevano in contatto fra loro e la centrale operativa, da un agente dei servizi segreti indiani; appartenente ad una rete «semi-ufficiale» di detti servizi segreti, che ora ne chiedono il rilascio: non è un terrorista, è un nostro infiltrato nei gruppi terroristi.
Un infiltrato?

E’ dir poco: il poliziotto era un padre, una guida per quei giovanotti; uno che ha pensato a tutto quel di cui quei figlioli potevano aver bisogno. In altre occasioni, parleremmo di un agente provocatore.

Ce ne sono stati anche a Madrid: dove un confidente della polizia spagnola, che aveva pure il numero di telefono riservato del capo dell’antiterrorismo ispanico, era anche il fornitore dell’esplosivo usato dagli islamici per far saltare il treno di Atocha; che aveva insegnato loro come innescarli (con telefonini); e che li aveva addirittura portati sul posto – perchè si sa, questi terroristi islamici, da sè, non riescono a trovare nemmeno un indirizzo a Madrid. Figurarsi a Mumbai.

Altri segnali che la strage di Mumbai sia stata un «false flag» non mancano; non aspettiamoci che APCOM li dia tutti, ha già avuto abbastanza coraggio.

Uno nuovo siamo in grado di darvelo: è la foto che pubblichiamo.

This picture, taken in the aftermath of the Mumbai terror attacks, is disturbing on a number of levels. These aren’t AK-47s, the cheap and ubiquitous automatic weapons favored in the third world because, while crude, will shoot under almost any circumstance. No, these are Heckler & Koch MP5s, the standard submachine gun of security services throughout the world, including our own special forces in all branches of the military.

Si tratta di un fascio di mitragliatori abbandonati su una sedia di paglia, di uno degli alberghi attaccati. Armi dei terroristi, che la polizia indiana ha ammassato lì dopo che tutto è finito. Come potete vedere, non sono Kalashnikov, l’arma classica delle guerriglie del Terzo Mondo. Questi sono modernissimi MP5 «Heckler & Koch» nuovi di zecca; armi sofisticate, opera di metallurgia fine ed alte tecnologie. Sono le armi che chi scrive ha visto in mano alle guardie del corpo americane (in borghese) che scortano i visitatori americani importanti in Afghanistan. Sono armi tipiche dei servizi di sicurezza occidentali, in dotazione agli operativi dell’intelligence, più che a veri e propri militari (5).

Non viene precisato dove i poliziotti indiani abbiano raccolto questo fascio di mitragliatori, da quale dei vari luoghi dell’operazione Mumbai. Sarebbe interessante saperlo: magari, nella casa dei Lubavitcher, dove i terroristi hanno fatto base e poi ucciso i sei israeliani, in modo però da renderne irriconoscibili i volti?

I pakistani hanno ben capito il gorgo in cui stavano per essere trascinati. Il 2 dicembre scorso, ad una TV privata, l’ex capo dell’ISI, generale Hamid Gul (il creatore dei Talebani per conto della CIA, poi diventato «cattivo» dopo l’11 settembre) ha detto: «L’incidente di Mumbai è una trama internazionale per strappare al Pakistan la sua forza nucleare. Certe forze vogliono dichiarare il Pakistan uno “Stato fallito” (failed state), in quanto è diventato in certo modo necessario mettere in ginocchio il Pakistan onde sfilargli via il suo potere atomico».

Gul ha ripetuto che il metodo e la sofisticazione degli attacchi a Mumbai «sembrano impossibili senza un sostegno interno» (cioè dall’India); ed ha aggiunto che gli USA avevano di recente mostrato (ad una riunione della NATO, che aveva irritato i generali turchi presenti) una mappa dell’area dove il Pakistan appare diviso in quattro parti autonome, non senza tacere che secondo lui, il fatto che il Pakistan venisse messo sotto accusa proprio mentre aveva chiesto un aiuto finanziario al Fondo Monetario era «parte del trucco preordinato».

Bernard Lewis, l’arabista del Council on Foreign Relations, scrisse nel 1992 su Foreign Affairs un articolo fondamentale, «Rethinking the Middle East», che è la base della politica israeliana attuale. «La maggior parte degli Stati del Medio Oriente», scriveva, «sono costruzioni recenti e artificiali: se il potere centrale viene sufficientemente indebolito, non c’è una vera società civile per tenere insieme il Paese, nessun senso di identità nazionale comune o di lealtà indiscussa verso lo Stato-nazione. Lo Stato dunque si disintegrerà, come è accaduto in Libano, in un caos di sette, tribù, regioni e partiti l’un contro l’altro armati».

Questa mappa, con il Medio Oriente e l’Asia Centrale «prima» e «dopo» la cura dello smembramento, è apparsa nel 2006 sulla rivista ufficiale dell’esercito USA, The Armed Force Journal, a firma del colonnello Ralph Peters. L’articolo dichiarava che il Pakistan essendo «uno Stato innaturale», doveva essere smembrato in modo che le zone tribali del Nord fossero «riunite ai loro fratelli di sangue afghani», mentre la sua zona meridionale sarebbe diventata un «Free Baluchistan» con il porto di Gwadar come sbocco. La mappa fu presentata forse per errore (forse no) ad una riunione di alti gradi della NATO: i turchi lasciarono la seduta, perchè la mappa preconizzava un «Free Kurdistan» ricavato a spese di Turchia, Siria, Irak e Iran. La mappa di Peters coincide con quella stilata da Bernard Lewis.

Ed infatti, il governo pakistano ha annunciato lunedì di avere smantellato i covi di Lashkar-e-Taiba (6) nel suo territorio, e persino di aver arrestato «la mente» dell’aggressione di Mumbai. Ha così scongiurato, almeno per il momento, le incursioni israeliane (pardon: indiane) nel suo territorio; o almeno ha tolto a questo piano la scusa per procedere.

Ma nell’intervista, Gul ha buttato là una frase ancor più rivelatrice: «Gli USA vogliono vedere l’esercito indiano in Afghanistan» (7).

E’ proprio così. Il Pentagono ha un bisogno disperato di più scarponi sul suolo afghano, gliene occorrono molte decine di miglaia. Li ha reclamati agli «alleati» europei, che però – nonostante la loro voglia di compiacere Obama – nicchiano.

Allora perchè non usare i volonterosi nuovi alleati di Delhi, felici di essere chiamati a gestire il nuovo ordine mondiale americano fornendo la carne da cannone? Una guerra «in corpore vili».

Ambienti del potere militare indiano sono in estasi per essere stati «scelti» dalla grande America; estasi accresciuta dalla proposta americana di collaborazione con l’India sul piano nucleare. Scodinzolanti, questi ambienti hanno cominciato a nutrire ambizioni di egemonia regionale sotto l’ombrello USA; i caldi rapporti con il Mossad sono diventati addirittura passionali, in vista di questa ambizione (hanno voglia di imparare da un tale maestro).

Se poi non bastasse, il 7 luglio scorso una bomba è esplosa all’ambasciata indiana a Kabul, subito attribuita «ai Talebani e dunque ad Al Qaeda»: ciò che ha convinto di più gli estatici nazionalisti indù di mettersi nelle mani dell’«Occidente» usraeliano, anima e corpo. E i corpi indiani sono abbondanti, e spendibili.

Il piano presenta un inconveniente: il 75% dei rifornimenti logistici alle truppe USA e NATO in Afghanistan passa per il Pakistan, dallo scarico al porto di Karachi al trasporto per autocarri a Quetta, o dal Kyber Pass. Una linea lunga, malagevole e vulnerabile.

E proprio domenica, un reparto di guerriglieri, a Peshawar, ha assaltato il Terminale Logistico Portward, snodo essenziale di questa lunga via di rifornimento, dando fuoco a 106 veicoli USA e NATO. All’alba di domenica, i guerriglieri (30 secondo la polizia, 300 secondo i guardiano del terminal) hanno spianato il portone d’ingresso, ed hanno dato fuoco agli automezzi parcheggiati, fra cui c’erano 70 Humvee, da almeno 100 mila dollari a esemplare (8).

Gli americani tendono ad accusare il Pakistan, che non ha destinato abbastanza uomini alla sicurezza della via logistica: un altro motivo per definire il Paese un «Failed State».

Sarà interessante vedere come il cambio di «alleato», l’abbandono del Pakistan e l’adozione dell’India, imporrà una revisione del problema. Non è facile raggiungere l’Afghanistan con miriadi di tonnellate di materiale pesante.

Voci da Washington attribuiscono a Robert Gates, il ministro del Pentagono (che Obama ha mantenuto in carica) una inclinazione a mantenere buoni rapporti con Islamabad, anche perchè è stato lui a rendere dipendente dal Pakistan il rifornimento delle truppe d’occupazione; per contro, Hillary Clinton, nuovo segretario di Stato, sarebbe più dalla parte dell’India.

Ma per la pura e semplice geografia, nonostante la sua buona volontà di servire, l’India non può offrire un percorso logistico verso l’Afghanistan.

La Clinton dovrebbe dunque rinegoziare con la Russia l’uso delle vie russe per il rifornimento delle forze americane: Mosca concede già questo transito, ma non per i materiali di tipo militare. Bisognerà venire ad ulteriori patti con Medvedev e Putin?

Tuttavia albeggia una terza soluzione: la «neutralizzazione» del Kashmir, dove i militanti irredentisti dovrebbero cessare le loro offensive in cambio della adesione dell’India di un «condominio» col Pakistan nel suo Kashmir.

Lo smembramento del Pakistan in zone «autonome» su base etnico-religiosa, in cui il porto di Gwadar sarebbe parte di un «Baluchistan libero», potrebbe completare il quadro.

Maurizio Blondet

(articolo pubblicato l'8 dicembre 2008)


1) «Hoax call to Zardari ‘put Pakistan on war alert’», Reuters, 6 dicembre 2008.
2) Bakir Sajjad Syed, «Rice tells Pakistan to act ‘or US will’», Dawn, 7 dicembre 2008.
3) www.hindu.com/2008/12/07/stories/20081207500100.htm
4) «Israeli experts help India prepare commando raids into Pakistan», Debka, 6 dicembre 2008. Vedere anche Siddhart Srivastava, «India sets sights on pakistani camps», Asia Times, 6 dicembre 2008.
5) «No third world guns», Wordpress, 4 dicembre 2008. Un alto esponente dell’antiterrorismo russo citato da Russia Today ha paragonato la sanguinosa azione di Mumbai «alle tattiche usate dai militanti ceceni nel Caucaso del Nord sotto il comando di Shamil Basayev e Salman Raduyev nelle cittadine di Budyonnovsk e Pervomaiskoye: per la prima volta nella storia furono terrorizzate città intere, prese case e ospedali. I terroristi di Mumbai hanno imparato bene queste tattiche». La citazione di Shamil Basayev non è casuale: il leader ceceno è stato addestrato dalla CIA e dall’ISI in Afghanistan, durante l’occupazione sovietica, negli anni ’80. Anche la piccola Georgia di Saakasvili ha tentato la stessa tattica nel suo attacco alle provincie separatiste pro-russe, ammazzando la popolazione e terrorizzando «intere cittadine». Le schiere georgiane avevano, come noto, istruttori, comunicazioni ed armamento israeliani. In fondo, è sempre il «trattamento Gaza» ad essere applicato.
6) Ovviamente il Lashkar-e-Taiba (LeT) ha legami con l’ISI: è una delle formazioni che l’ISI ha creato su richiesta della CIA. In questa veste ha partecipato alla campagna di Bosnia contro i serbi negli anni ’90; è ovvio che un simile movimento (finanziato anche dai sauditi, almeno allora) sia pesantemente infiltrato da servizi «occidentali».
7) Andrew Marshall, «Creating an Arc of Crisis: the destabilization of the Middle East and Central Asia – The Mumbai attacks and the strategy of tension », Globalreasearch, 7 dicembre 2008.
8) Riaz Khan, «Pakistanis torch more than 160 US, NATO vehichles», Huffington Post, 7 dicembre 2008.
9) Scott Sullivan, «Clinton vs Gates on Pakistan», Petroleumwolrd News, 3 dicembre 2008.

2 comments:

  1. "perchè si sa, questi terroristi islamici, da sè, non riescono a trovare nemmeno un indirizzo a Madrid"
    incredibile!!! loro vivevano da anni a Madrid mà secondo questo tizio non trovavano gli indirizzi! questa è la teoria più "divertente" che ogni tanto si può scoltare: son sono stati gli islamici perche (si sà) gli arabi (tutti) sono scemi...
    non so si ridere o piangere....

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